Sergio Nicolò de Bellis
Castellana-Grotte, 1898 – Milano, 1946
Si forma a Milano, alla civica scuola d'arte del Castello Sforzesco, intorno agli anni 1918-23. Nel capoluogo lombardo soggiornerà quasi tutto il resto della sua vita, pur tornando con regolarità nella natia Castellana almeno una volta l’anno nella stagione estiva. La sua produzione giovanile, che abbraccia gli anni tra 1923 e 1930, può definirsi novecentista.
Nel novero di questi dipinti sono affrontati tutti i principali generi, dai paesaggi alle nature morte, dai ritratti alle composizioni miste alla ricerca del proprio linguaggio espressivo, ogni genere con caratteri ed accenti specifici. Dei paesaggi, si individuano due filoni prevalenti, il lombardo e il pugliese. Riguardo al primo prevalgono le vedute urbane, soprattutto di Milano: soggetti frequentissimi nel periodo 1924-35, come si evince dagli elenchi delle opere esposte nelle prime sue mostre, collettive e personali. Dalle poche immagini che ci restano di quel periodo, si ricavano prospettive di piazze e strade della città, solidi edifici, manifesto di una fiducia nell’opera umana e per esteso fiducia e speranza nelle possibilità di crescere artisticamente nel contesto metropolitano; si dedica inoltre alla pittura del paesaggio pugliese, nel territorio compreso tra Castellana, Conversano, la Selva di Fasano e la fascia costiera.
Nel corso dei primi anni trenta si registra una svolta nello stile, un lento progredire verso tonalità più chiare, nel contempo un graduale allentamento delle priorità plastiche e compositive, e una più coraggiosa attitudine alla sperimentazione, anche se talvolta timida e talvolta più convinta: una fase che si arresta intorno al 1935, o giù di lì, quando nuove idee e più convinte soluzioni creative irrompono nella sua produzione. È il tempo delle suggestioni metafisiche e oniriche, il momento di maggiori prestiti dagli eletti maestri, Carrà, De Chirico, De Pisis. Una produzione alterna, dalle enigmatiche composizioni a sfondo classicheggiante, alla magica seduzione della forza dei cavalli sfrenati nella prateria, fino ad inaspettati studi di nudo, tanto rari quanto pregni di fascino.
Dopo la lenta transizione degli anni 1930-34, che possiamo isolare e definire “secondo periodo” o “periodo della sperimentazione”, dal 1935 si apre una nuova e più lunga stagione, un “terzo periodo” racchiudibile entro la primavera del 1943, allorquando, nel quadro critico generale della guerra in corso, De Bellis lascerà Milano per Castellana.
Gli anni 1935-43 furono senz’altro i più felici, e dal punto di vista artistico e professionale: gli acquisti della Galleria d’arte moderna e del Gabinetto dei disegni di Milano, due Biennali di Venezia (1936, 1940), due premi Bergamo (1939, 1941), due premi Puglia (1939, 1940), due importanti personali milanesi (1938, 1941).
Tornato a Milano, nel dicembre del 1945 il pittore riprende la partecipazione ai concorsi e alle collettive, cercando di riallacciare i legami interrotti durante la guerra.
Il clima fervido e ottimistico si riflette di conseguenza sulla sua ultima produzione, più che altro fatta di paesaggi e nature morte.
La Trita del grano (Castellana Grotte, Quadreria Comunale) è l’esempio emblematico del fervore di colui che assurge all’arte attraverso un procedimento d’intensa, intima sublimazione dei sensi e della conoscenza della natura.
Il dipinto fu esposto alla "Mostra del lavoro e del sacrificio”, allestita nelle sale del Castello Sforzesco nel febbraio 1946, e insignito del “Premio Galleria Italiana d’arte" per il tema del lavoro: ultimo riconoscimento della sua carriera, prima della precoce scomparsa, nel dicembre dello stesso anno.
Nel 1956 il Comune di Castellana acquistò dagli eredi l’insieme delle opere di De Bellis ancora in loro possesso, costituito da 55 dipinti a olio e 21 acquerelli. Dal 2005 l’intera collezione è visitabile nelle sale della Quadreria del palazzo comunale. Altre opere dell’artista presenti in collezioni pubbliche sono a Milano, nelle Civiche Raccolte d’Arte e Gabinetto dei Disegni, presso il Museo della Permanente, e a Bari, presso la Pinacoteca Provinciale.
Francesco dell'Erba
Castellana-Grotte, 1846 - 1909
Per l’occasione dei centocinquant’anni dell’Unità d’Italia non si contano, nelle varie città e a tutti i livelli di enti e istituzioni, le manifestazioni celebrative e le iniziative culturali avviate o prossime all’apertura. Per singolare coincidenza da qualche tempo anch’io mi sto interessando ad un artista che visse proprio in quel periodo fondamentale della storia del nostro Paese, negli anni immediatamente successivi alla creazione dello Stato nazionale, operando tra l’altro in città artisticamente “cruciali” quali Napoli, Roma, Firenze: mi riferisco al pittore castellanese Francesco dell’Erba (1846-1909), la cui attività artistica incomincia proprio nei primi anni sessanta dell’Ottocento, all’indomani della proclamazione del Regno d’Italia.
Discendente da un’antica e importante famiglia castellanese (sulla cui genealogia, di nobili origini, lo stesso pittore scrisse un trattato, oggi conservato nella biblioteca civica di Castellana), e fratello di Luigi (il noto scienziato, geologo e cultore di numismatica), Francesco dell’Erba mostrò sin dalla prima giovinezza una spontanea inclinazione al disegno e alla pittura; si ha testimonianza infatti di un suo primo dipinto realizzato quand’aveva appena sedici anni, conservato presso una raccolta privata, opera d’esordio che conferma le qualità artistiche del giovane don Ciccio e sembra preannunciarne la luminosa carriera.
Dopo gli studi classici, nei seminari di Molfetta e Conversano, intorno al 1866 si trasferì a Napoli, per frequentare l’Accademia di Belle Arti. Nel capoluogo partenopeo, non più capitale borbonica, si registrava ancora una fase di grande vivacità culturale. Da una parte l’Accademia, l’istituzione ufficiale della formazione degli artisti, che a Napoli convergevano da tutte le regioni del Meridione: una istituzione tuttavia contestata per la sua rigida impostazione classicista, alla quale frange di artisti d’avanguardia contrapponevano delle scuole private orientate alla moda, allora corrente, del verismo. In città dal 1863 c’è Adriano Cecioni, organizzatore della “Scuola di Resìna” a Portici, frequentata da Giuseppe De Nittis (coetaneo del dell’Erba, appena espulso dall’Accademia), Federico Rossano, Antonino Leto. La scuola di Cecioni si poneva in aperta opposizione all’egemonia culturale dell’Accademia napoletana, in quegli anni dominata dall’imponente personalità di Domenico Morelli; inoltre a Napoli negli stessi anni operava indipendente un altro illustre pittore pugliese, Gioacchino Toma, autore di dipinti dal contenuto storico-patriottico.
In questo ambiente ricco di stimoli il giovane dell’Erba si andava formando agli insegnamenti dell’Accademia senza però ignorare le più innovative proposte che venivano da altre direzioni; in particolare seguì i corsi del Morelli per il disegno e di Giuseppe Mancinelli per la pittura. Controllo del disegno, apertura a rappresentazioni veriste nei paesaggi e nelle scene di genere, colori meditati e ritratto accademico, ecco in sintesi lo stile del giovane artista castellanese, ormai maturato negli anni napoletani e pronto a mettersi in gioco alle prime grandi rassegne artistiche nazionali. Il suo trasferimento a Firenze, intorno ai primi anni settanta, può leggersi in questa ottica: infatti egli prende parte appieno alla vita culturale della città. Il capoluogo toscano, già seconda capitale del Regno, stava vivendo all’epoca una stagione felice di centro artistico culturale nazionale, luogo primario di ritrovo dei maggiori artisti da ogni regione, e ruolo di avanguardia col gruppo dei Macchiaioli, almeno quelli che non s’erano dispersi altrove.
Giovanni Fattori deteneva allora la cattedra di pittura nell’accademia fiorentina. A Firenze dell’Erba partecipa alla sua prima importante collettiva, la Mostra bandita dalla Società di incoraggiamento per le belle arti di Firenze del 1873, con il dipinto La Delusa. È l’inizio del decennio più fertile per il giovane artista, che prende parte a tutte le rassegne più significative che si svolgevano in Italia, nel momento in cui, tra l’altro, si trasferisce a Roma per completare gli studi presso l’Accademia di San Luca.
Vivere e operare nella Città Eterna, da pochi anni capitale del giovane Regno d’Italia, doveva costituire per il dell’Erba la grande occasione per un salto di qualità nella sua carriera d’artista, non solo attraverso il perfezionamento accademico ma soprattutto per la possibilità di misurarsi nell’agone delle grandi esposizioni regionali e nazionali con i più famosi pittori del suo tempo. Prova ne fu il successo personale riscosso all’Esposizione Artistica romana del 1879, allorquando fu onorato dell’acquisto di un suo dipinto, Il racconto del nonno, da parte dei sovrani Umberto I e Margherita di Savoia. Opera di grandi dimensioni, secondo la testimonianza di Michele Viterbo, destinata alle sale del Quirinale e oggi purtroppo irrintracciabile. Una mia ricerca diretta presso il Quirinale non ha portato riscontri positivi; non solo il dipinto non è conosciuto – mi asserisce il curatore del Patrimonio artistico del Quirinale, Louis Godart – ma nemmeno figura una sua menzione negli inventari. Non è un caso isolato, del resto, almeno da quelle parti: pare che nel periodo convulso dell’ultimo scorcio di monarchia, tra la fine del secondo conflitto mondiale e il referendum del 2 giugno 1946, i Savoia provvidero a “sgomberare” in fretta e furia le loro residenze di gioielli, opere d’arte e tesori di famiglia per trasferirli all’estero, prevenendo le temute confische dell’era repubblicana. Insomma, non si può escludere che il dipinto del nostro don Ciccio sia conservato tuttora presso qualche residenza sabauda in Europa, tra Cascais e Ginevra. Per la verità, a riguardo mi presi la briga qualche tempo addietro di contattare direttamente casa Savoia per sapere se per caso ce l’avessero ancora loro il quadro, ma finora non ho ricevuto risposta.
Stessa sorte ha subìto un altro dipinto del periodo romano del pittore, di poco successivo al Racconto del nonno: il Molière che legge una sua commedia alla serva, del 1880, che all’epoca fu acquistato dal Ministero dell’Agricoltura. Medesima situazione, come pure analoga è l’assenza dell’opera dagli inventari del Ministero. Non c’è da stupirsi più di tanto. A Napoli invece si conserva a tutt’oggi un altro importante dipinto di quegli anni, la Beffa all’ubriaco, datato 1878, che fu acquistato per 550 lire dal Museo Archeologico Provinciale di Napoli in occasione della XV Esposizione artistica nazionale della Promotrice napoletana “Salvator Rosa” (1879). Il quadro fa parte delle collezioni d’arte della Provincia di Napoli ed è esposto in una delle sale di rappresentanza del Palazzo.
Anche i primi anni del decennio successivo sono forieri di successi personali, conquistati uno dopo l’altro alle grandi rassegne: presenta una Pace domestica (non rintracciata) all’Esposizione Nazionale di Milano del 1881, una Veduta di Villa Corsini (collezione privata) all’Esposizione di Roma del gennaio 1883.
Come si può evincere, a sciorinare i soggetti presentati, è evidente che Francesco dell’Erba prediligesse la cosiddetta “pittura di genere”, cioè quell’ampia tematica di soggetti rappresentanti delle situazioni, di carattere sociale, storico, privato, desunte dalla vita quotidiana: un genere sempre alla moda al tempo del dell’Erba, fatto da “microstorie”, narrate con minuzia descrittiva e dovizia di particolari, che il pittore presentava al grande pubblico che frequentava le esposizioni. Ogni microstoria aveva poi qualcosa da dire, se non una morale vera e propria, piuttosto un messaggio di semplice narrazione: la delusione per un messaggio dal contenuto avverso, l’anziano capostipite continuatore di tradizioni orali per le generazioni successive, la confidenza d’un letterato alla propria domestica, il degrado dell’ebbrezza e la derisione degli astanti, e così via. In questi personaggi e nelle situazioni e storie che rappresenta, assieme all’ampia galleria di ritratti, dell’Erba si fa narratore e descrittore di quella che era la società del suo tempo, e in particolare di quella classe borghese, dinamica e liberale, che si faceva promotrice dell’identità nazionale del nuovo Stato unitario.
Osserva lo storico Giulio Petroni (1912) che Francesco dell’Erba, grazie alla sua condizione “di agiata e onorevole famiglia di Castellana”, ebbe “un gran vantaggio su molti altri artisti, lavorar per diletto, e non aver a combattere contro la malvagia fortuna”. In parole più semplici, il nostro artista non si piegò mai a fare pittura “commerciale”, di facile richiamo, come tanti suoi colleghi facevano, o perché smaniosi di facile successo, o per bisogno di incassare, non importa come, con una serie di soggetti bozzettistici, ripetuti a catena, che facevano presa sui tanti acquirenti senza molto gusto: alla maniera, per intenderci, di un Raffaele Armenise o di un Vincenzo Irolli.
Egli dipinse appunto per passione, con un certo senso di distacco che gli permetteva di coltivare anche tanti altri interessi; e infatti sappiamo che al pari della pittura Francesco dell’Erba fu anche un intellettuale di rilievo, cultore delle patrie memorie e soprattutto imprenditore enologo, capace di produrre vini di un certo pregio. Doveva essere insomma una sorta di peculiarità della famiglia, data pure l’articolata poliedricità del fratello Luigi.
È vero però che il “lavorar per diletto” da un canto gli permise di mantenere alto il livello qualitativo della sua produzione, ma d’altro canto non costituì per lui uno stimolo sufficiente a proseguire con convinzione e assiduità nella sua carriera artistica. Infatti, in seguito alla morte del padre, avvenuta nel 1883, Francesco dell’Erba rientrò a Castellana e vi si stabilì definitivamente. Le sue partecipazioni alle grandi mostre collettive divennero sempre più sporadiche, e vale la pena in proposito ricordare l’ultima esposizione significativa, la Prima Mostra artistica Pugliese del 1900, nella quale presentò diverse opere, tra cui La lezione del tutore e Una confidenza d’amore e fu premiato con la medaglia d’argento. Sempre più afflitto dalla sordità negli ultimi suoi anni, il pittore si spense a Castellana il 19 novembre 1909.
Maria Miccolis
Castellana-Grotte, 1925 - 1998
Maria Miccolis dopo gli studi in Lettere, si dedicò all’insegnamento e all'attività politica nella sezione di Castellana-Grotte della Democrazia Cristiana. Subentrò, per decesso di Michele Troisi, come deputato della III Legislatura della Repubblica Italiana il 28 ottobre 1961 e ricoprì il ruolo di membro della Commissione finanze e tesoro fino al 15 maggio 1963.
È stata, poi, eletta Sindaco della Città di Castellana Grotte. Ha ricoperto il ruolo di Presidente della Provincia di Bari dal 16 aprile 1982 al 29 ottobre 1984. Dopo il decesso, avvenuto il 2 luglio 1998 all'età di 73 anni, il Comune di Castellana-Grotte le ha dedicato la Sala consiliare.
Nicola Rotolo
Nicola Rotolo nasce a Castellana il 20 luglio 1925; dopo la licenza liceale, si laurea in Giurisprudenza presso l'Università degli studi di Bari e passa ad esercitare la libera professione di avvocato.
Milita giovanissimo nella Gioventù Italiana dell'Azione Cattolica, divenendone dirigente cittadino, diocesano, infine, regionale e nazionale. Si iscrive giovanissimo alla Democrazia Cristiana e contribuisce a fondare, nel 1943, la prima sezione del partito a Castellana. Partecipa attivamente alla campagna elettorale per le amministrative del 1946; come dirigente del Comitato civico per le province di Bari, Brindisi, Lecce e Taranto, contribuisce alla vittoria democristiana nelle elezioni politiche del 18 aprile 1948.
Lascia l'Azione Cattolica nel 1952, per incompatibilità con la carica di segretario provinciale della Democrazia Cristiana. Nello stesso anno diviene consigliere comunale e, poi, Sindaco. Rieletto, resta in carica sino al 1965. Nel corso dei suoi tredici anni di mandato, vengono inaugurati ben tre edifici scolastici cittadini e viene approvato, nel 1956, il Piano Regolatore Generale.
Amico e sodale di Aldo Moro dagli anni della militanza nell'Azione Cattolica, quando lo statista di Maglie costituiva un punto di riferimento umano, politico e culturale per i più giovani, nel 1958, succede a Vito Lattanzio nella carica di segretario provinciale della Democrazia Cristiana. Dal 1963 al 1975, ricopre l'incarico di segretario regionale pugliese della DC; per un decenno, è membro del Consiglio nazionale della Democrazia Cristiana.
Dal 1963 al 1968, è presidente della Commissione del personale della Sezione speciale per la riforma fondiaria - Ente per lo sviluppo dell'irrigazione e la trasformazione fondiaria in Puglia e Lucania, dal 1970 Ente di sviluppo in Puglia e Lucania. Termina il suo incarico nel 1976.
Membro del Consiglio Regionale della Puglia dal 1970, I legislatura, al 1975, poi, presidente della Regione Puglia dal 4 agosto 1975, al 1978.
Il 29 settembre 1978 Nicola Rotolo si dimette a seguito dei mutati equilibri seguiti alla scomparsa di Aldo Moro e termina la sua attività politica.
Passa alla presidenza della Cassa per la formazione della piccola proprietà contadina e della Italtel Ela spa. Succesivi incarici quelli di componente del Consiglio centrale del turismo, responsabile per la Regione Puglia del Centro di cultura e documentazione, consigliere di amministrazione della Italtel spa, del Banco di Napoli, della Nuova Banca Mediterranea, della Società Tirrenia di navigazione, della Società cattolica di assicurazione, della Società di assicurazione Persona life - gruppo Società cattolica di assicurazione, presidente del Consiglio di amministrazione del Conservatorio di musica Licinio Refice di Frosinone.
Storica la contrapposizione politica con l'onorevole Maria Miccolis. La contrapposizione si radicalizza con l'adesione della Miccolis sul finire degli anni ’60 alla corrente dorotea degli onorevoli Lattanzio, Rumor, Piccoli, Colombo e Andreotti.
Luigi dell’Erba
Castellana-Grotte, 1853 - 1923
Il Prof. Luigi dell’Erba nasce a Castellana (oggi Castellana-Grotte) di Bari il 13.2.1853 da Vincenzo e da Rosa Sgobba.
Nel 1883 sposa la Sig.na Annina Marciano di Napoli, sorella di quel Gennaro Marciano, che sarà il più illustre e noto avvocato penalista del foro napoletano. Dal felice matrimonio nascono nove figli, due dei quali moriranno l’uno in età neonatale e l’altra, rispettivamente, in età infantile.
Morta nel 1896 la prima moglie amatissima, egli è costretto a pensare ad un secondo matrimonio per dare una madre ai suoi sette bambini. Sposa in seconde nozze (19.2.1898) Ernestina Battelli, di cinque anni più vecchia di lui, cugina di Armando Diaz e carissima amica di Annina Marciano. Ernestina da ordine alla vita del Prof. Luigi dell’Erba (divenuta caotica dopo la vedovanza), gli è accanto, attenta e tenera, e riesce ad essere la madre premurosa che egli sperava per i suoi ragazzi ed a farsi amare da tutti quei figli non suoi, sino al punto che i nipoti, che poi nasceranno, apprenderanno solo dopo la sua morte (1923) che non è lei la loro “vera” nonna.
Il prof. Luigi dell’Erba, nell’arco della sua lunga vita (muore a Castellana il 2.5.1937), ha ricevuto un notevole numero di nomine e di incarichi: dall’ateneo Napoletano, dal Ministero della P.I., dalla direzione di Istituti e Fondazioni, da società scientifiche ed ordini professionali, che vengono elencati in un capitolo separato.
Compie gli studi liceali presso il Seminario di Conversano (Bari).
Nel novembre 1871 si trasferisce a Napoli, dove si diploma in Scienze Matematiche il 10.8.1875 e, successivamente, il 3.9.1877, consegue la laurea in Ingegneria presso la Regio Università di Napoli.
Luigi dell’Erba a 59 anni in divisa da colonnello dei Vigili del Fuoco
Luigi dell’Erba a 60 anni. Si notino le mani deformate dall’artrite gottosa
Il 6 aprile 1882, col grado di sottotenente, inizia la sua attività quale ufficiale dei vigili del fuoco. Percorre tutta la carriera raggiungendo il grado di colonnello comandante) il 16.11.1909, carica che tiene fino a quando l’11.9.1912 decide volontariamente di dare le dimissioni a causa del progressivo aggravarsi della patologia osteo-articolare da cui è affetto da molti anni e che gli ha provocato, tra l’altro, gravi deformazioni in entrambe le mani e seria riduzione della loro capacità motoria.
Fra i tanti interventi svolti da ufficiale dei VVFF, la sua capacità e le sue doti risaltarono particolarmente nell’affrontare, circoscrivere e domare l’incendio che nel maggio del 1903 divampò e distrusse lo storico edificio, ove aveva sede il Monte di Pietà. Si deve, infatti, alla sua abilità se vennero risparmiate dalle fiamme altre costruzioni e palazzi limitrofi ed, in particolare, un altro storico edificio, quello dell’Archivio di Stato. A riconoscimento dei suoi meriti e della sua esperienza il 3.6.1903, viene nominato perito giudiziario per il gravissimo incendio.
Per la sua abnegazione e per il valore dimostrati ottiene da parte delle autorità, colleghi ed amici, nonché dei giornali dell’epoca, numerose attestazioni di alta stima, ammirazione, compiacimento e simpatia. Particolarmente gradite quelle che gli giungono, espresse all’unanimità, dalla Giunta del Comune di Castellana (9.6.1903) e dalla Società operaia di mutuo soccorso di Castellana (12.6.1903).
Spinto da colleghi ed amici, nel 1884 Luigi dell’Erba si prepara alla docenza, poiché la cattedra di “Mineralogia e Geologia applicata all’arte delle costruzioni” della facoltà di Ingegneria di Napoli è divenuta vacante per i raggiunti limiti di età del Prof. Guglielmo Guiscardi, suo illustre maestro.
Tra l’8 luglio ed il 9 settembre 1884 svolge gli esami scritti, orali e pratici: ottiene la libera docenza il 18 settembre 1884.
La sua prima lezione pubblica (9.9.1884), argomento “Il rame”, riporta il punteggio di 41/50.
Il 29 dicembre dello stesso anno ottiene la nomina a Professore incaricato di Mineralogia e Geologia applicata alle costruzioni nella reale scuola per ingegneri di Napoli, dove insegnerà per 44 anni, fino al raggiungimento della quiescenza per limiti di età (1.11.1928).
Quale insigne studioso di geologia, mineralogia e chimica e quale profondo cultore di storia e numismatica Luigi dell’Erba è autore di numerose pubblicazioni (libri, articoli, monografie, perizie e relazioni), che vengono riportate in ordine cronologico e per argomento in un separato capitolo.
Fra tutti i suoi lavori, vanno ricordati, in particolare, quelli di geologia ingegneristica. Il “Compendiario di geologia applicata alle costruzioni” è dato alle stampe dal Prof. dell’Erba nel giugno 1885. Alla prima, fanno seguito altre due edizioni, nell’arco di quattro anni.
Luigi dell’Erba Numismatico
L’hobby per la raccolta e lo studio delle monete, cominciato in età infantile, diviene col passare degli anni un campo del sapere che sempre più lo attrae e lo affascina. Raccoglie monete di ogni epoca e nazione, ma predilige lo studio della monetazione dell’Italia meridionale, specie del periodo medievale.
Nel 1912 è socio fondatore del Circolo Numismatico di Napoli assieme ad un gruppetto di studiosi fra cui il dott. Memmo Caggiati, il Prof. Scacchi, il Sig. Canessa. Il Circolo napoletano diviene, e lo sarà per decenni, il cenacolo della numismatica in Italia; il suo giornale, “Il Bollettino del Circolo Numismatico di Napoli”, rappresenta una delle pubblicazioni di riferimento della maggioranza degli studiosi italiani ed europei.
In ambito numismatico, il Prof. Luigi dell’Erba è stato autore di alcune opere fondamentali, vere e proprie pietre miliari per chi voglia cimentarsi nello studio della numismatica dell’Italia meridionale in epoca normanno-svevo-angioina. Non esiste, ancora oggi, un lavoro di numismatica che tratti di quel periodo, che non citi nella bibliografia, le opere di Luigi dell’Erba ed in particolare “La riforma monetaria angioina ed il suo sviluppo storico nel Reame di Napoli “ pubblicata, in quattro successivi fascicoli tra l’aprile del 1932 ed il luglio 1935, a cura dell’Archivio storico delle Province Napoletane, diretto all’epoca da Benedetto Croce. Il 29 dicembre 1930 il Comitato cittadino di Castellana Grotte, che si è costituito per le onoranze al Prof Luigi dell’Erba , gli comunica il voler celebrare, con una cerimonia ufficiale in suo onore, il suo valore di uomo e di scienziato.
Il 4 gennaio 1931, nel Municipio di Castellana gli vengono tributati grandi onori che culminano con l'offerta di un'artistica perga¬mena con la nomina a cittadino benemerito di Castellana.
Il prof. Luigi dell’Erba va considerato uno degli ultimi eruditi numismatici, di quella dotta schiera che illuminarono il XIX secolo. Epoca d'oro per la numismatica, che dal semplice dilettantismo fu portata a dignità di scienza metodica e guida sicura per la storia, Napoli ne fu la culla, in merito alle ricerche ed agli studi fatti dall'Avellino, dal Carelli, dal Minervini, dall'Ardito, dal Padre Garrucci e dal Fiorelli.
Luigi dell’Erba Geologo
Grande appassionato di geologia e cresciuto al centro di un territorio costituito essenzialmente da rocce carbonatiche e di conseguenza ricco di cavità carsiche, tra cui si distingue per la sua ampiezza e profondità e il suo carico di misteri, la Grave, che immette nelle Grotte di Castellana, egli non poteva non occuparsi dello studio del fenomeno carsico.
L’occasione propizia gli venne data nel 1872, allorché un certo Giuseppe Manghisi, nello scavare una cisterna nel suo campo sito sulla Via di Polignano in località Pozzo Cucù intercettò la volta di un’ampia cavità carsica ricchissima di stalattiti e stalagmiti.
Considerato l’alto numero di casi in cui le cavità scoperte sono rapidamente occultate dai proprietari, è stata proprio una fortuna che in questa occasione molti studiosi, grazie al nostro dell’Erba, vennero presto a conoscenza di questa notizia e poterono effettuare le prime ricerche nella cavità.
Luigi dell’Erba Mineralologo
La Mineralogia fu anche la branca in cui il prof. Luigi dell’Erba sfociò con la sua grande passione fin dagli anni giovanili, già dal primo anno in seminario di Conversano. Ebbe la prima cognizione dell’esistenza in natura dei minerali quando il suo insegnante di Scienze portò in classe tre saggi di minerali (uno di granato, uno di gesso bacillare ed un terzo di gesso laminare), da quel momento inizio la voglia di collezionare minerali.
Date le sue grandi doti, ben presto divenne un vero conoscitore profondo della mineralogia. Oggi la nomenclatura dei minerali è codificata dall’International Mineralogical Association (IMA) composta dalle varie organizzazioni che rappresentano i mineralogisti nei vari paesi.
Fino al gennaio 2002 le specie mineralogiche riconosciute dall’IMA erano 3910. Di queste circa 150 sono considerate comuni, altre 50 sono poco comuni ed le rimanenti sono classificabili come rare od estremamente rare.
Ad oggi presso l’archivio diocesano di Conversano troviamo una grandissima COLLEZIONE DI MINERALOGIA. La collezione di ca. 4000 reperti di mineralogia, di grandissimo valore scientifico, proviene da quasi tutte le parti del mondo e catalogati dallo stesso prof. Luigi dell’Erba (1853-1937). Attualmente è ancora in fase di elaborazione e catalogazione a cura dell’Istituto di Mineralogia dell’Università di Bari. Sempre nell’archivio Diocesano di Conversano, di recente, è stata realizzata una imponente bacheca a forma di piramide dove si possono ammirare bellissimi minerali, selezionati e catalogati, a suo tempo, dallo stesso Luigi dell’Erba.
Luigi dell’Erba Chimico
Luigi dell’Erba, scienziato a 360°, non avrebbe mai immaginato che un giorno, il suo paese natale, gli avrebbe intitolato una scuola per Periti Chimici. Ciò è avvenuto per desiderio della sig.ra Maria Miccolis, professoressa di Matematica e Fisica, all’epoca sindaco di Castellana, in quanto in un primo tempo era stato proposto, da parte del Collegio dei docenti, il nome di Leonardo Da Vinci ad intitolazione della scuola. Il Ministero della Pubblica Istruzione, con nota n. 10861 del 9 ottobre 1970, comunica che con Decreto Presidenziale del 30 agosto 1970 la scuola venga intitolata a Luigi dell’Erba – vedi anche delibera Comunale del 1970).
Ad ogni buon conto egli è, come si dice oggi, un testimonial eccezionale della chimica, pur non essendo un chimico. E tale circostanza è abbastanza inconsueta, visto l’abuso che viene fatto della chimica e l’accezione negativa che sempre più spesso viene attribuita alla parola “chimica” dai non addetti ai lavori.
Nel 1898, Luigi dell’Erba, nella CHIMICA dei VIGILI estratta dall'opera “i moderni mezzi di spegnimento e salvataggio” del Cav. Ing. Achille Mollo dice:
I disastrosi effetti degli incendi si evitano con prevenire il loro scoppio, adottando opportuni provvedimenti; sviluppatosi il fuoco non si avranno che mezzi a menomarne le rovine. A conseguire ciò è indispensabile conoscere due cose: la prima è la piena conoscenza delle diverse sostanze, tanto solide che liquide o gassose, nelle quali il fuoco prende sede facilmente, e di cui si fa alimento; la seconda la cognizione di quelle cause che possono essere provenienti dalla vita dell’uomo o da fatti naturali. In tutto ciò è di aiuto la CHIMICA, la quale c’insegna le cause ed i fenomeni della combustione ed esplosione, la composizione e proprietà dei corpi combustibili ed esplosivi, nonché i prodotti da cui guardarsi dietro la loro accensione, ed i presidi che possano prevenire, menomare o arrestare il processo del fuoco.
fonte : https://www.vivicastellanagrotte.it/index.php/36-la-cittadina/nomiillustri